lunedì 7 settembre 2015

200 piccoli indiani, ovvero come ammazzare la cultura diffusa



A seguito dell’istituzione della Commissione Comunale di Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo, approvata con deliberazione del Consiglio Comunale in data 26 giugno 2014 (mecc. 2014-01984/061 esecutiva dal 12 luglio 2014), operativa dall’inizio dell’anno 2015, sono state riviste le procedure per l’ottenimento del parere di agibilità tecnica sui locali e spazi di pubblico spettacolo.

Contrariamente a ciò che era prassi abituale, tale Commissione Comunale di Vigilanza richiede l’istruzione di una pratica per le aree adibite a spettacolo (stabilmente o temporaneamente) anche nel caso in cui queste abbiano capienza pari o inferiore alle 200 persone.

L’istruzione della pratica che prevede l’approvazione di un progetto e la successiva relazione tecnica sostituisce l’autocertificazione di un professionista abilitato iscritto all’albo degli Ingegneri o degli Architetti e prevede un iter oneroso (circa €200) i cui dettagli sono elencati qui: Strutture sotto le 200 persone

Pur intendendo lo spirito della delibera, e il suo ineluttabile soggiacere alla Circolare 557/2005 del Ministero dell’Interno, vogliamo sottolineare come il processo che essa mette in moto è chiaramente depressivo di un novero di attività che fino a oggi trovavano felice se pur faticosa realizzazione fuori dai circuiti standard della cultura e dello spettacolo.

Piccoli concerti, spettacoli di quartiere o di cortile, attività in capo ad associazioni no profit, proiezioni cinematografiche in aree mercatali, feste di via e la cultura diffusa in genere sono ora minacciati per due motivi:

1)      Gli enti promotori, spesso piccole associazioni, non possono reggere il peso di un ulteriore iter burocratico senza dotarsi di consulenti (progettisti, ingegneri, architetti) che inevitabilmente andrebbero a costituire un costo non colmabile.
2)      Questi stessi enti, normalmente inquadrati nell’ambito del no profit, non possono far fronte ad ulteriori costi fissi (che si aggiungono alla SIAE e all’ex Enpals anche in caso di spettacoli gratuiti) a fronte di contributi pubblici o privati spesso inesistenti.

Per ultimo, compito del legislatore dovrebbe essere la promozione della cultura diffusa, quella che raggiunge chi non frequenta abitualmente i teatri e le sale da concerto e crea così nuovi pubblici, momenti di crescita ed emancipazione collettiva.

Da tempo chi promuove cultura diffusa sa di non poter fare affidamento sul denaro proveniente dall’amministrazione pubblica: ora chiede a quest’ultima, al Ministero dell’Interno che è il promotore di questa norma e all’ANCI che ne è l’interprete, per lo meno di non essere ostacolato, e di porre rimedio.


lunedì 16 marzo 2015

Da una cantina a Woodstock - 10 consigli per non sbagliare (quasi) mai


Crisi della Musica dal Vivo, Evoluzione dei Gusti, Internet.
10 consigli per orientarsi nell'organizzazione di un concerto, di una rassegna o di un Festival nel 2015.

1 - Il progetto

Fare un concerto, una rassegna o un festival non è un progetto: è una aspirazione.
Affinché il nostro obiettivo possa concretizzarsi, dobbiamo articolarlo prevedendo il convergere di una rete che non sia solo di aspirazioni, ma di interessi.

2 - Il poliedro di interessi

Più sono gli interessi coinvolti in un evento, più sono i potenziali partner dell’operazione.
Eccone alcuni in ordine sparso: l’interesse dell’artista ad avere un pubblico, dello sponsor a vendere il suo prodotto, del territorio a riqualificarsi, delle attività commerciali a posizionarsi nei confronti di un segmento di target, del giornalista a far uscire un pezzo, del politico locale a intestarsi l’operazione, etc.
Costruiamo un poliedro in modo che ognuno dei nostri interlocutori possa occuparne un lato e promuovere la bontà del progetto.

3 - La comunicabilità

Se per spiegare un’idea servono più di 3 minuti, probabilmente il nostro progetto camminerà a fatica: Kant si è imbattuto nello stesso problema quando ha cominciato a parlare di schematismo trascendentale. Proviamo ad enunciare la nostra idea con poche e semplici parole: questo servirà ai nostri interlocutori per riportarla a loro volta a terze persone.
 
4 - Gli sponsor

I nostri sponsor possono offrire servizi o liquidità. Cerchiamo di individuare quali siano i legittimi interessi di un partner nella nostra operazione, evitando di bluffare: il fornitore di alcool conterà i fusti di birra, non i Like del nostro artista sulla sua Pagina Facebook.

5 - L’unicità

A meno che non si tratti di Madonna (sia nel senso della Beata Vergine che nel senso di Veronica Ciccone) non esiste un’irrinunciabilità dell’evento: ai tempi di YouTube qualsiasi artista è nel nostro smartphone. Proviamo a pensare un motivo extra-musicale per cui il nostro evento sia unico e irripetibile, dalla scelta della location in su.

6 - La paternità

Essere troppo affezionati alla propria creatura è spesso controproducente: tanto più i partner la sentiranno propria, tanti più soggetti avranno voglia e piacere di promuoverla. Con il tempo si impara a non farsi fregare le idee, o quanto meno a fare in modo che la palla ritorni nelle nostre mani alla fine del giro.

7 - La liturgia

Tranne il caso in cui si tratti di un concerto di Ligabue a San Siro, per il quale esiste una filiera di permessi e di prassi consolidate, lo svolgimento del nostro progetto offre ampi margini di inventiva. Per quanto possibile, cerchiamo di promuoverne gli aspetti innovativi sottraendolo alla classifica degli eventi (piccolo-medio-grande)

8 - La diffusione

Ai giornalisti interessa far uscire la notizia quanto a noi, mettiamoli in condizione di lavorare e diamo loro un contenuto appetibile dalla redazione. Osserviamo cosa c’è sulla colonnina destra di Repubblica.it ed elaboriamo una strategia simpatica e non troppo compromettente per finirci dentro.

9 - La post – promozione

Nell’era dei social, la promozione continua anche e soprattutto dopo l’evento. Documentiamo al meglio l’accaduto e fotografiamo il pubblico: per un artista che il giorno dopo posterà la sua immagine sul palco, ci saranno centinaia di persone desiderose di fare altrettanto con delle belle immagini che ritraggono la serata.

10 - Gli artisti

L’artista giusto non è né il più bravo né il più famoso, ma quello che meglio aderisce allo spirito e alla costruzione del progetto. Coinvolgiamolo spiegandogli con cura tutto il percorso che porta a lui: sarà felice di condividere l’avventura convenendo con noi sull’opportunità di percepire una parte di compenso fissa e una parte “a successo”

lunedì 23 febbraio 2015

Come abbiamo ucciso il Jazz in 5 semplici mosse


Tutti ci lamentiamo della crisi della Musica dal Vivo. Accanto a cause indipendenti dalla nostra volontà, forse è arrivato il momento di fare un po’ di autocritica.


Qui sotto ho provato a individuare 5 passaggi con i quali noi jazzisti abbiamo contribuito nostro malgrado a sabotare la nostra stessa attività.

1 - NO BACKLINE

Il motivo per cui gran parte dei club/locali/ristoranti/sale da the scelgono di far suonare  jazz è perché i musicisti jazz si adattano più di altri a suonare anche in assenza di palco o impianto audio/luci.
Il fatto di esserci adattati a suonare in situazioni di fortuna ha generato l’impressione che un concerto jazz sia la più agile scorciatoia per evitare di allestire un’area dedicata allo spettacolo.


2 - NO SALA DEDICATA
Torino - Piazzale Valdo Fusi
(Retrospettiva)

Capita così che il concerto jazz si svolga tra tavoli dove gli avventori consumano il loro pasto mentre qualche appassionato sta appollaiato al bancone del bar. Chi si trova a suonare spesso oscilla tra il desiderio di attirare su di sé l’attenzione del pubblico e l’imbarazzo di non creare troppo disturbo agli avventori casuali del locale.


3 - NO BIGLIETTO

Il pudore del musicista nei confronti dell’avventore disinteressato è dovuto al fatto che il più delle volte il concerto non viene pagato mediante un biglietto acquistabile all’ingresso dal pubblico, ma tramite un forfait concordato con il locale. In questo modo lo stipendio del musicista sta appeso più alla capacità di ingurgitare cibo e/o alcool dell’avventore disinteressato e chiassoso piuttosto che dal pubblico in prima fila che consuma una minerale in 2 ore di concerto.

4 - NO SHOW

Siccome è difficile interagire con una sala che per metà si occupa d’altro che non ascoltare, il musicista jazz rinuncia nella maggior parte dei casi a dialogare con il pubblico. Rinchiuso nella propria concentrazione, assume il ruolo di complemento d’arredo. Alcuni sono così disabituati ad avere gli occhi del pubblico addosso, che si presentano sul palco con magliette sdrucite, felpe o maglioncini chiazzati di sugo.


5 - NO REPERTORIO

In un contesto così poco motivante, la scelta del repertorio fa veramente poca differenza. Succede così che la composizione del gruppo diventa poco vincolante e la scelta dei brani da eseguire viene operata pochi minuti prima di iniziare a suonare: il repertorio della serata è spesso il minimo comun denominatore tra le conoscenze dei musicisti ingaggiati.



Se come me ti è capitato di ritrovarti in almeno un paio di questi 5 frangenti, forse è arrivato il momento di mettersi una mano sulla coscienza. E provare a intraprendere nuove strategie.

venerdì 6 febbraio 2015

Oltre la Crisi: vademecum alle nuove liturgie della Musica dal Vivo

Lo spettacolo e la Musica dal Vivo sono l’ambiente in cui mi muovo da più di 20 anni, ambiente in cui penso di aver svolto quasi tutti i ruoli, dal runner al direttore artistico.

In questi ultimi anni le frase che ho sentito ripetere con più insistenza è “La Musica dal Vivo è in crisi, non c’è più interesse, non c’è più pubblico”
Io penso che questa affermazione non sia corretta, o meglio: quando la pronunciamo stiamo guardando nella direzione sbagliata, e faccio tre esempi che apparentemente possono sembrare fuori luogo.

-        I negozi di dischi chiudono: VERO
Potremmo dedurne che la gente non ascolta più musica, ma questo è falso. La maggior parte della popolazione ascolta molta più musica che mai: la ascolta on line e semi-gratuitamente, per cui non ha bisogno di comprare CD.
Paradossalmente l’opportunità di ascoltare gratuitamente l’intero repertorio mondiale della produzione musicale non ha impedito alla maggior parte della gente di continuare ad ascoltare spazzatura.

-        I negozi di sviluppo fotografico chiudono: VERO
Potremmo dedurne che la gente non fotografa più,  ma questo è falso. La maggior parte della popolazione scatta più fotografie che mai, quasi solamente in formato digitale.Le pubblica gratuitamente on line, per cui non ha bisogno di sviluppare un rullino.
Non c’è gattino o cucciolo di cane che riesca a sottrarsi all’obiettivo del padrone in cerca di qualche facile Like su Facebook.

-        Non ricevo più lettere e cartoline nella buca della posta: VERO
Potremmo dedurne che la gente non scrive più, ma questo è falso. La maggior parte della popolazione comunica più che mai nella storia, ma usa la propria casella gratuita di posta elettronica e i social network. Per cui non ha bisogno di acquistare francobolli.
In compenso anche la terza età, quella che scriveva in corsivo, ha ceduto al fascino degli Emoticon


Torino - San Salvario
(Retrospettiva)

Se noi guardiamo i modelli e i loro relativi riti con gli occhi del passato vediamo solo un campo di battaglia abbandonato agli anziani, agli animi romantici e a qualche avvoltoio ancora affamato.

Che ci piaccia o no, l’era della Musica dal Vivo per come l’abbiamo intesa negli ultimi 50 anni sta volgendo al termine. Tuttavia, l’esigenza da cui scaturisce il “Live” è tutt’altro che spenta: assume nuove liturgie o nella stragrande maggioranza dei casi ne recupera di antiche.
Dal Rinascimento Italiano in poi, accanto al genio – Leonardo da Vinci o Steve Jobs – c’è un’innovazione naturale che passa attraverso il recupero dell’originale storico.

Riporto tre esempi (più uno) di come forme musicali distanti stiano modificando i propri riti  recuperando molto spesso l’originale da cui provengono.

Il Jazz
La liturgia del concerto Jazz negli ultimi 50 anni si è celebrata prevalentemente nei club.
A parte rarissime eccezioni, questa liturgia non funziona più: i musicisti suonano di fronte ad altri musicisti, o più spesso di fronte ad un pubblico più interessato a consumare alcool che non ad ascoltare.
Potremmo dedurne che il pubblico e i giovani non amano più il Jazz, ma questo è falso.
Gli ultimi tre anni hanno visto un’esplosione del fenomeno Lindy Hop, il ballo Swing nato negli Stati Uniti negli anni della Grande Depressione. In un contesto economico simile, i giovani del Sud dell’Europa hanno recuperato una liturgia antica ed evidentemente gratificante.
Laddove in un Club scarseggiano le risorse per pagare un Trio Jazz, durante le serate di Lindy l’affluenza di pubblico attivo e motivato permette non di rado l’impiego di un’orchestra intera.

La Musica Classica
La liturgia in ambito classico o euro-colto è intimamente legata alle sale da concerto e ai teatri.
A fronte di un abbonamento sottoscritto prevalentemente da anziani, l’Ente Pubblico copre la differenza tra i costi realmente sostenuti dall’organizzatore e gli incassi provenienti dallo sbigliettamento.
Non è un mistero che di anno in anno le Stagioni Classiche vedano una flessione degli abbonati, dovuta principalmente al decesso di alcuni per motivi naturali.
Potremmo dedurne che il pubblico e i giovani non amano più la Musica Classica, ma questo è falso. Gli ultimi anni hanno visto un’esplosione del fenomeno degli House Concerts, laddove la musica di Mozart, Schumann o Chopin viene ricollocata esattamente negli spazi in cui e per cui è stata scritta: gli spazi privati, frequentati come allora da un pubblico in età produttiva mediamente colto e interessato.

Il Rock
La liturgia del concerto Rock negli ultimi 50 anni si è celebrata prevalentemente negli stadi e negli spazi all’aperto.
A riempire le arene rock, a parte rarissime eccezioni, sono gli stessi nomi da molti anni: Bruce Springsteen è ancora il Boss e il suo pubblico è grosso modo lo stesso da tempo, invecchiato con lui.
Potremmo dedurne che il pubblico giovane non riconosce più alla musica un ruolo sociale di aggregazione, ma questo è falso. Invece di adottare la liturgia della generazione precedente, l’intrinseca esigenza anticonformista della Black Music ha scelto di rompere con i suoi padri e di ritornare alle origini: spazi urbani e strade sono diventati la sede abituale per contest di hip hop, rap e freestyle.
La “gara di parolacce” che alcuni hanno indicato come origine delle improvvisazioni collettive dei Boppers neri della 52ma strada ritorna prepotentemente nelle gare pubbliche allestite dalle comunità meticcie dell’hip hop in orari non convenzionali. Nelle grandi città, giovani e giovanissimi autogestiscono spazi in orario pomeridiano non avendo né l’impiccio né l’opportunità di svolgere un’attività lavorativa e dovendo sfruttare il trasporto pubblico per tornare a casa.

La Musica da Ballo
Forse non in tutte le provincie dell’impero, ma nelle città il fenomeno delle sale da ballo è consegnato ad un’utenza di persone di mezza età. Personalmente non sento il termine “Discoteca” da parecchi anni.
Potremmo dedurne che il pubblico e i giovani non amano più ballare, ma questo è falso anzi: gran parte del pubblico giovane che non siriconosce più nel rito del concerto Rock si riversa negli spazi dove si suona Musica Elettronica e si può ballare fino all’alba. Al posto della Rock Star hanno posto un producer o un più sobrio MC (Maestro di Cerimonia) che celebrala liturgia con serietà e senza troppa retorica, al pari di un Imam al termine del Ramadan. Il paragone potrebbe sembrare azzardato, non fosse che nella mia città (Torino) i festival di Elettronica e gli appuntamenti religiosi della comunità islamica condividono gli stessi spazi.

Torino - Piazza Vittorio
(Retrospettiva)
A fronte di un’insostituibilità del rito della Musica dal Vivo, quello a cui stiamo assistendo è un rinnovamento
legato alle sue liturgie.
Questo stesso rinnovamento ha delle resistenze che ci fanno percepire maggiormente la crisi del vecchio sistema piuttosto che le peculiarità del nuovo.

Le resistenze sono interpretate principalmente da tre attori:

-        Gli artisti
Chiunque abbia deciso di intraprendere un percorso artistico e professionale ispirandosi ad uno specifico modello, difficilmente accetta che il modello cambi in corsa. Nessuno strappa volentieri dal muro della propria cameretta il poster di Jimi Hendrix, lo dico per esperienza.
-        Gli operatori del settore
Chiunque abbia deciso di investire confidando in un modello con regole apparentemente certe, difficilmente accetta che i suoi investimenti non rendano più perché le regole del gioco sono cambiate.
-        Il legislatore
Il plesso di normative che regolamentano lo spettacolo e la musica in generale è cucito su un modello superato dalla storia, ma gli Enti che sovrintendono all’applicazione delle normative (SIAE, Enpals, etc.) non accettano di essere messi da parte se non a fronte di garanzie e coperture.

Se dunque l’esigenza del rito legato alla Musica dal Vivo è imprescindibile e sicuramente non in crisi in quanto tale, non possiamo tuttavia pensare di arginare il rinnovamento endemico delle sue liturgie: sono cambiate da sole e continueranno a cambiare da sole. Non è un complotto.

Personalmente ritengo che la sfida in cui ormai siamo immersi sia tanto avvincente quanto improrogabile: implica un ripensamento della figura dell’artista, dell’utilizzo dello spazio pubblico-privato e una completa riscrittura delle normative legate allo spettacolo e alla Musica dal Vivo.

A tutti gli amici e colleghi, buon lavoro e buon divertimento.

venerdì 23 gennaio 2015

Diritti, privilegi e abusi nella Musica dal Vivo

Da che mondo è mondo l’uomo fa musica.
Se pensiamo quanta strada è stata percorsa dal primo suono emesso in una caverna percuotendo un legno cavo fino ai raduni di musica elettronica odierna, osserviamo un percorso durato millenni.

Torino - Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi"
(Retrospettiva)
Da che mondo è mondo (o quasi) esistono musicisti professionisti.
Dalla corte di un qualsiasi sovrano dell’antichità agli enti lirici e sinfonici contemporanei la storia è attraversata da professionisti che vivono di musica.

Nel corso della storia c’è stato un periodo “aureo” relativamente breve in cui il musicista ha potuto ricevere un compenso senza necessariamente dover suonare di fronte a un pubblico: è il periodo che intercorre tra il 1894 (anno in cui fu stampato il primo disco a 78 giri) e il 1999 (anno della comparsa di Napster, prima piattaforma peer to peer).
In questo periodo moltissimi di noi hanno potuto acquistare copie fisiche di dischi o CD contenenti musica, garantendo a noi stessi l’ascolto privato dei nostri brani preferiti e agli autori e/o esecutori un equo compenso per la loro arte e il loro lavoro.

Abitualmente l’uscita discografica dava il via ad un tour di esibizioni dal vivo che nella maggior parte dei casi serviva da promozione al disco, business centrale dell’attività del musicista.
Ci furono addirittura casi limite come i Beatles, che hanno goduto di una popolarità planetaria e di consistenti ricavi a fronte di un’attività concertistica quasi assente.

D’altro canto, gli autori adattarono le proprie opere alla capacità del supporto: 3 minuti scarsi per il 78 giri, due facciate per un LP o 74 minuti per un CD.

Fatta esclusione per il ‘900, la durata di un’opera musicale non è mai stata un elemento vincolante alla sua diffusione. Anche oggi, nessuno impedisce all’autore di mettere on line un brano singolo, una raccolta di 50 canzoni o un’opera ininterrotta della durata di 3 ore e un quarto.

A fronte di tanta recuperata libertà di espressione e di ascolto, i ricavi derivanti dalla diffusione della “musica liquida” in rete sono diventati pressoché nulli: Spotify è in grado di soddisfare in maniera (semi)gratuita quasi qualsiasi desiderio musicale.

Oggi come oggi un teenager non ha nel suo orizzonte mentale che la musica possa essere acquistata, tanto è vero che gli ultimi CD sopravvissuti negli ultimi negozi o più spesso negli Autogrill sono destinati ad una fascia di pubblico per il quale l’acquisto di un prodotto musicale era considerato plausibile un paio di decenni fa.
D’altra parte, nessun dispositivo elettronico di ultima generazione ha più un ingresso per supporti fisici

Gli autori e i musicisti in genere come hanno reagito a questa frattura apparentemente irreversibile?

Secondo il modello proposto da Hirshman, le possibili reazioni alle fasi di crisi sono tre: Exit - Voice - Loyalty. Contrariamente a quanto si possa supporre, la maggior parte degli autori e dei musicisti italiani non ha optato per la fuga verso altre strategie (Exit) o la rivendicazione di istanze e diritti (Voice) ma ha rinnovato la propria fedeltà (Loyalty) ad un meccanismo che palesemente non funziona più.

La maggior parte dei professionisti della musica oggi reitera il vecchio comportamento come se lo scenario intorno non fosse cambiato.
Torino - Piazza Bodoni
(Retrospettiva)

Non passa settimana senza che qualcuno mi metta in mano o mi spedisca una copia del suo ultimo CD, mentre non c’è più un solo negozio dedicato alla vendita di questo prodotto e io stesso faccio fatica a trovare un posto dove infilarlo per ascoltarlo: grazie a Dio ho una vecchia auto dove il lettore CD ancora funziona.

E’ talmente difficile accettare la fine di un’epoca che la maggior parte di noi musicisti si comporta come il vedovo che non accettando la scomparsa della moglie continua a parlarne come se lei stesse semplicemente dormendo nella stanza di fianco.

Quando diciamo “ho pronto un nuovo disco” stiamo nominando un oggetto che a livello di consumo di massa non esiste più.

In realtà non siamo così megalomani e intorpiditi da non capire le proporzioni del problema.  Affrontiamo consapevolmente la produzione di un nuovo album - coscienti che solo una minima parte del nostro pubblico reale lo comprerà - perché questo nuovo lavoro possa aprire le porte ad un soddisfacente tour di concerti.

Malcapitatamente in Italia gli spazi per fare musica sono stati decimati.

La colpa non è di quel fenomeno che chiamiamo “crisi” quanto del fatto che oggi in Italia fare musica dal vivo è nella maggior parte dei casi antieconomico, sia per chi la fa sia per chi la ospita.
SIAE ed ex-Enpals, gli enti che regolano la ripartizione del Diritto d’Autore e la Cassa Previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, hanno un peso così feroce sul bilancio di un concerto che rendono quasi impossibile la realizzazione di uno spettacolo di piccole o medie dimensioni in un regime di completa legalità.

Per chi non lo sapesse, del totale corrisposto alla SIAE per una pubblica esecuzione gratuita meno dell’1% va all’Autore (circa €0,04 per ogni brano eseguito) mentre l’Enpals applica un’aliquota che varia dal 33% al 34,5% sul compenso percepito.

Torino - Piazzetta Cavour
(Retrospettiva)

Siamo dinanzi ad una circostanza non troppo eccezionale per l’Italia, in cui degli Enti nati per distribuire diritti con il tempo hanno generato sacche di privilegio per poi diventare strumenti di vero e proprio abuso.
In queste condizioni, sviluppare la pratica della musica dal vivo – l’unica risorsa rimasta al musicista dopo la bolla discografica – è diventata un’impresa tanto faticosa quanto velleitaria.

Arrivati a questo punto, prima di porci la domanda “Che fare?” proviamo a chiederci “Come hanno affrontato il problema gli altri Paesi?”
Ancora una volta non siamo né soli né all’avanguardia: basterebbe copiare da chi ha già fatto, stando magari attenti a copiare bene.

In Inghilterra dall’ottobre 2012 è in vigore una legge, il Live Music Act, che liberalizza gli eventi di musica dal vivo con meno di 200 spettatori entro le ore 23 e che incentiva le formazioni che si esibiscono in acustico. Una legge che ha già cambiato il panorama musicale delle città inglesi e che potrebbe incidere nel nostro Paese con le stesse dinamiche.

Aspettiamo da troppo tempo un plesso di riforme che restituiscano ossigeno alla pratica della musica dal vivo, liberandola da norme e imposizioni antiquate e pesantemente recessive, che ipotizzano una ricchezza da tassare laddove oggi la ricchezza è tutta da costruire.

Se in ballo ci fosse solo la sopravvivenza dei musicisti professionisti, questa sarebbe una rivendicazione di categoria tanto legittima quanto banale. Purtroppo in ballo c’è invece la sopravvivenza della Musica dal Vivo, e questo è un tema che riguarda tutti i cittadini di un Paese che ha visto nascere l’Opera e che oggi assiste all’inabissarsi di una delle sue risorse più preziose.

Per quel che mi riguarda – e mi riguarda – io non ci sto.