lunedì 7 settembre 2015

200 piccoli indiani, ovvero come ammazzare la cultura diffusa



A seguito dell’istituzione della Commissione Comunale di Vigilanza Locali Pubblico Spettacolo, approvata con deliberazione del Consiglio Comunale in data 26 giugno 2014 (mecc. 2014-01984/061 esecutiva dal 12 luglio 2014), operativa dall’inizio dell’anno 2015, sono state riviste le procedure per l’ottenimento del parere di agibilità tecnica sui locali e spazi di pubblico spettacolo.

Contrariamente a ciò che era prassi abituale, tale Commissione Comunale di Vigilanza richiede l’istruzione di una pratica per le aree adibite a spettacolo (stabilmente o temporaneamente) anche nel caso in cui queste abbiano capienza pari o inferiore alle 200 persone.

L’istruzione della pratica che prevede l’approvazione di un progetto e la successiva relazione tecnica sostituisce l’autocertificazione di un professionista abilitato iscritto all’albo degli Ingegneri o degli Architetti e prevede un iter oneroso (circa €200) i cui dettagli sono elencati qui: Strutture sotto le 200 persone

Pur intendendo lo spirito della delibera, e il suo ineluttabile soggiacere alla Circolare 557/2005 del Ministero dell’Interno, vogliamo sottolineare come il processo che essa mette in moto è chiaramente depressivo di un novero di attività che fino a oggi trovavano felice se pur faticosa realizzazione fuori dai circuiti standard della cultura e dello spettacolo.

Piccoli concerti, spettacoli di quartiere o di cortile, attività in capo ad associazioni no profit, proiezioni cinematografiche in aree mercatali, feste di via e la cultura diffusa in genere sono ora minacciati per due motivi:

1)      Gli enti promotori, spesso piccole associazioni, non possono reggere il peso di un ulteriore iter burocratico senza dotarsi di consulenti (progettisti, ingegneri, architetti) che inevitabilmente andrebbero a costituire un costo non colmabile.
2)      Questi stessi enti, normalmente inquadrati nell’ambito del no profit, non possono far fronte ad ulteriori costi fissi (che si aggiungono alla SIAE e all’ex Enpals anche in caso di spettacoli gratuiti) a fronte di contributi pubblici o privati spesso inesistenti.

Per ultimo, compito del legislatore dovrebbe essere la promozione della cultura diffusa, quella che raggiunge chi non frequenta abitualmente i teatri e le sale da concerto e crea così nuovi pubblici, momenti di crescita ed emancipazione collettiva.

Da tempo chi promuove cultura diffusa sa di non poter fare affidamento sul denaro proveniente dall’amministrazione pubblica: ora chiede a quest’ultima, al Ministero dell’Interno che è il promotore di questa norma e all’ANCI che ne è l’interprete, per lo meno di non essere ostacolato, e di porre rimedio.


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