venerdì 23 gennaio 2015

Diritti, privilegi e abusi nella Musica dal Vivo

Da che mondo è mondo l’uomo fa musica.
Se pensiamo quanta strada è stata percorsa dal primo suono emesso in una caverna percuotendo un legno cavo fino ai raduni di musica elettronica odierna, osserviamo un percorso durato millenni.

Torino - Conservatorio di Musica "Giuseppe Verdi"
(Retrospettiva)
Da che mondo è mondo (o quasi) esistono musicisti professionisti.
Dalla corte di un qualsiasi sovrano dell’antichità agli enti lirici e sinfonici contemporanei la storia è attraversata da professionisti che vivono di musica.

Nel corso della storia c’è stato un periodo “aureo” relativamente breve in cui il musicista ha potuto ricevere un compenso senza necessariamente dover suonare di fronte a un pubblico: è il periodo che intercorre tra il 1894 (anno in cui fu stampato il primo disco a 78 giri) e il 1999 (anno della comparsa di Napster, prima piattaforma peer to peer).
In questo periodo moltissimi di noi hanno potuto acquistare copie fisiche di dischi o CD contenenti musica, garantendo a noi stessi l’ascolto privato dei nostri brani preferiti e agli autori e/o esecutori un equo compenso per la loro arte e il loro lavoro.

Abitualmente l’uscita discografica dava il via ad un tour di esibizioni dal vivo che nella maggior parte dei casi serviva da promozione al disco, business centrale dell’attività del musicista.
Ci furono addirittura casi limite come i Beatles, che hanno goduto di una popolarità planetaria e di consistenti ricavi a fronte di un’attività concertistica quasi assente.

D’altro canto, gli autori adattarono le proprie opere alla capacità del supporto: 3 minuti scarsi per il 78 giri, due facciate per un LP o 74 minuti per un CD.

Fatta esclusione per il ‘900, la durata di un’opera musicale non è mai stata un elemento vincolante alla sua diffusione. Anche oggi, nessuno impedisce all’autore di mettere on line un brano singolo, una raccolta di 50 canzoni o un’opera ininterrotta della durata di 3 ore e un quarto.

A fronte di tanta recuperata libertà di espressione e di ascolto, i ricavi derivanti dalla diffusione della “musica liquida” in rete sono diventati pressoché nulli: Spotify è in grado di soddisfare in maniera (semi)gratuita quasi qualsiasi desiderio musicale.

Oggi come oggi un teenager non ha nel suo orizzonte mentale che la musica possa essere acquistata, tanto è vero che gli ultimi CD sopravvissuti negli ultimi negozi o più spesso negli Autogrill sono destinati ad una fascia di pubblico per il quale l’acquisto di un prodotto musicale era considerato plausibile un paio di decenni fa.
D’altra parte, nessun dispositivo elettronico di ultima generazione ha più un ingresso per supporti fisici

Gli autori e i musicisti in genere come hanno reagito a questa frattura apparentemente irreversibile?

Secondo il modello proposto da Hirshman, le possibili reazioni alle fasi di crisi sono tre: Exit - Voice - Loyalty. Contrariamente a quanto si possa supporre, la maggior parte degli autori e dei musicisti italiani non ha optato per la fuga verso altre strategie (Exit) o la rivendicazione di istanze e diritti (Voice) ma ha rinnovato la propria fedeltà (Loyalty) ad un meccanismo che palesemente non funziona più.

La maggior parte dei professionisti della musica oggi reitera il vecchio comportamento come se lo scenario intorno non fosse cambiato.
Torino - Piazza Bodoni
(Retrospettiva)

Non passa settimana senza che qualcuno mi metta in mano o mi spedisca una copia del suo ultimo CD, mentre non c’è più un solo negozio dedicato alla vendita di questo prodotto e io stesso faccio fatica a trovare un posto dove infilarlo per ascoltarlo: grazie a Dio ho una vecchia auto dove il lettore CD ancora funziona.

E’ talmente difficile accettare la fine di un’epoca che la maggior parte di noi musicisti si comporta come il vedovo che non accettando la scomparsa della moglie continua a parlarne come se lei stesse semplicemente dormendo nella stanza di fianco.

Quando diciamo “ho pronto un nuovo disco” stiamo nominando un oggetto che a livello di consumo di massa non esiste più.

In realtà non siamo così megalomani e intorpiditi da non capire le proporzioni del problema.  Affrontiamo consapevolmente la produzione di un nuovo album - coscienti che solo una minima parte del nostro pubblico reale lo comprerà - perché questo nuovo lavoro possa aprire le porte ad un soddisfacente tour di concerti.

Malcapitatamente in Italia gli spazi per fare musica sono stati decimati.

La colpa non è di quel fenomeno che chiamiamo “crisi” quanto del fatto che oggi in Italia fare musica dal vivo è nella maggior parte dei casi antieconomico, sia per chi la fa sia per chi la ospita.
SIAE ed ex-Enpals, gli enti che regolano la ripartizione del Diritto d’Autore e la Cassa Previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, hanno un peso così feroce sul bilancio di un concerto che rendono quasi impossibile la realizzazione di uno spettacolo di piccole o medie dimensioni in un regime di completa legalità.

Per chi non lo sapesse, del totale corrisposto alla SIAE per una pubblica esecuzione gratuita meno dell’1% va all’Autore (circa €0,04 per ogni brano eseguito) mentre l’Enpals applica un’aliquota che varia dal 33% al 34,5% sul compenso percepito.

Torino - Piazzetta Cavour
(Retrospettiva)

Siamo dinanzi ad una circostanza non troppo eccezionale per l’Italia, in cui degli Enti nati per distribuire diritti con il tempo hanno generato sacche di privilegio per poi diventare strumenti di vero e proprio abuso.
In queste condizioni, sviluppare la pratica della musica dal vivo – l’unica risorsa rimasta al musicista dopo la bolla discografica – è diventata un’impresa tanto faticosa quanto velleitaria.

Arrivati a questo punto, prima di porci la domanda “Che fare?” proviamo a chiederci “Come hanno affrontato il problema gli altri Paesi?”
Ancora una volta non siamo né soli né all’avanguardia: basterebbe copiare da chi ha già fatto, stando magari attenti a copiare bene.

In Inghilterra dall’ottobre 2012 è in vigore una legge, il Live Music Act, che liberalizza gli eventi di musica dal vivo con meno di 200 spettatori entro le ore 23 e che incentiva le formazioni che si esibiscono in acustico. Una legge che ha già cambiato il panorama musicale delle città inglesi e che potrebbe incidere nel nostro Paese con le stesse dinamiche.

Aspettiamo da troppo tempo un plesso di riforme che restituiscano ossigeno alla pratica della musica dal vivo, liberandola da norme e imposizioni antiquate e pesantemente recessive, che ipotizzano una ricchezza da tassare laddove oggi la ricchezza è tutta da costruire.

Se in ballo ci fosse solo la sopravvivenza dei musicisti professionisti, questa sarebbe una rivendicazione di categoria tanto legittima quanto banale. Purtroppo in ballo c’è invece la sopravvivenza della Musica dal Vivo, e questo è un tema che riguarda tutti i cittadini di un Paese che ha visto nascere l’Opera e che oggi assiste all’inabissarsi di una delle sue risorse più preziose.

Per quel che mi riguarda – e mi riguarda – io non ci sto.

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