domenica 2 luglio 2017

Movida, ordinanze e deriva destinale a Torino

Sono curioso di leggere i dati relativi all'iscrizione all'Università degli Studi e al Politecnico di Torino per i prossimi anni accademici. In base all'ultima ricerca di IRES Piemonte, gli studenti iscritti a questi due atenei, oltre a sfiorare le 100.000 unità, comportavano una presenza di studenti stranieri pari a circa l'8%, il doppio rispetto alla media italiana. 

I motivi per cui uno studente sceglie di studiare in una città all'estero o comunque lontano da casa sono molteplici, dalla rilevanza dell'ateneo di destinazione alla qualità della vita che in quella città può trovare.
Ai tempi dei miei studi universitari, le due destinazioni più appetibili erano Barcellona e Bologna. Per tacere sulla prima, ricordo che Bologna in quegli anni generava fenomeni culturali come il collettivo oggi noto come Wu Ming, che si raccoglieva attorno alla figura di Umberto Eco, oltre a garantire di per sé stessa una corposa dose di divertimento a chi studiava in città. 
Tutto ciò finì nel 2004 con la politica del coprifuoco voluta dall'allora sindaco Sergio Cofferati, per certi tratti simile a quella che alcuni auspicano – e non solo da oggi - a Torino. 

Beninteso, nessuno nega che l'impatto che un numero così importante di studenti in una città che conta meno di un milione di abitanti abbia conseguenze di difficile gestione, una su tutte il fenomeno che chiamiamo malamovida, ma senza entrare nel merito della gestione di questo tipo di fenomeni collaterali, mi pongo due domande.

1 – Un numero così cospicuo di studenti è da considerarsi oggi a Torino una risorsa o un problema? In una città il cui comparto manufatturiero è collassato, la presenza di studenti sembrerebbe mettere politicamente d'accordo tutti, dai neoliberisti che possono leggervi l'opportunità di accedere a nuovi segmenti di mercato (dall'affitto dei posti letto agli studenti fuori sede in giù) ai socialdemocratici come il sottoscritto che leggono nell'accesso all'istruzione un motore di processi innovativi e di sviluppo sociale e culturale. Evidentemente non per tutti è così.

2 – Considerando l'invasione studentesca un problema, soprattutto nella sua fisiologica riluttanza ad aderire completamente alle regole dovuta all'ambizione di vivere momenti di aggregazione libera e non strutturata, e volendo dunque ridimensionarla, abbiamo a portata di mano una attività produttiva qualsiasi che compensi in ricadute il mancato introito derivante da questa risorsa? In altre parole: qual è la vocazione della città per i prossimi 20 anni? 

Una città abbandonata al suo corso, al suo destino e alla sua destinazione genera un modo di viverla de-responsabilizzato e de-colpevolizzato, in una tollerante accettazione della deriva destinale dell'esistenza. In altri termini, collassa.